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Blu Ray Disc Across the UniverseCONTENUTI SPECIALI DEL BLU-RAY DISC
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venerdì 6 giugno 2008

"Revolver" e il giro di boa della pop music

Storia di una trasformazione: dai palchi allo studio di registrazione
Nel ‘66 c'è l'esplosione definitiva, e Revolver segna la prima svolta.Fu un periodo speciale per tutti noi: uscivano i dischi, e ogni volta ci si riuniva, si formavano dei gruppi d’ascolto. Un rito vero e proprio. Lo facevamo noi, ma sapevamo perfettamente che tutto ciò avveniva anche nel resto del mondo. Era un avvenimento, un happening: la consapevolezza che quella corsa all’acquisto del nuovo Beatles ci avrebbe regalato qualcosa di assolutamente innovativo. E così in effetti è realmente stato. Ma tutto cambiò sapore e forma al cospetto di Revolver. Mi ricordo che quando uscì, alla fine di agosto di quell’anno, restammo tutti con gli occhi sbarrati, quasi a domandarsi: «che diavolo è successo?». Il disco iniziava subito con una cosa mai fatta prima: su Taxman si sente George che lancia l’attacco: «uno, due, tre, quattro» e poi parte la musica. Non si era mai sentita prima una canzone che partiva con delle voci di studio e non con il brano vero e proprio. I ragazzi se ne fregavano di quelli che erano i rumori e i suoni di studio: ascoltando con attenzione i loro dischi si sentono delle cose pazzesche, perchè loro volevano essere così. Ma soprattutto Lennon, da questo punto di vista, era il più estroso di tutti; proprio come McCartney era il musicista. Un disco folle, pazzesco, che per la prima volta utilizza i fiati - penso al corno inglese di For No One, o allo swing di Got To Get Into My Life – ma poi sconfina nell’avanguardistico grazie ad un sapiente uso degli echi. A chiudere il cerchio, le sperimentazioni di un pezzo come Tomorrow Never Knows, registrato in maniera rivoluzionaria, con suoni strabilianti che scaturiscono da nastri riprodotti al contrario, le voci filtrate e tutto il resto delle diavolerie che lo hanno reso celebre ed ancora oggi di rottura rispetto al resto della musica.

Questo fu il motivo per cui, almeno ufficialmente, smisero di suonare: perchè non erano più in grado di riprodurre dal vivo tutte quelle idee da studio. Loro ai concerti in effetti erano un’altra cosa; non è come oggi, avevano un vissuto completamente diverso. Il concerto era vederli dal vivo e stop, perché suonavano con gli strumenti base e la sola aggiunta di una tastiera (una delle prime elettroniche) usata da John Lennon in qualche brano. Non c'erano accompagnamenti di cori, giochi di luci, o altro. Non c'era niente. C'erano amplificatori piccolissimi con i microfoni che venivano posti davanti agli altoparlanti e collegati all'impianto voce, anche per questo non esistono registrazioni dal vivo su disco; anche se negli anni ‘80 ne uscì uno di un concerto dall’Hollywood Bowl di Los Angeles, ma poi non fu mai rieditato in CD. In particolare Lennon disse di non voler più suonare dal vivo. Era particolarmente frustrato dal fatto che avrebbe anche potuto smettere di suonare o fare degli accordi sbagliati, e nessuno se ne sarebbe accorto. Tutti strillavano e nessuno sentiva più la musica. McCartney soffrì molto per questa decisione, ma erano talmente carichi allora che per lungo tempo non ne avvertirono il peso.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Certo riprodurre dal vivo quell'accozzaglia apparentemente disorganizzata di suoni era impresa impossibile. Praticamente le stesse innovazioni musicali che hanno dato immortalità ai Beatles ne hanno anche decretato la morte.
A questo punto non so chi preferire tra i Beatles da concerto e i Beatles da studio...

Anonimo ha detto...

di sicuro quelli da studio, anche perché le canzoni che conosciamo sono tutte registrate da studio e mai live